lunedì 18 febbraio 2008

Federico Caffè

UN RICHIAMO AL REALISMO

di Federico Caffè

Questo che segue è l'articolo pubblicato dalla rivista "Cooperazione" del Ministero degli Affari Esteri, sul numero 19, aprile 1981. L'intervento del Prof. Federico Caffè è all'interno del "Primo Piano" "Verso il Nuovo Ordine monetario internazionale", curato da Roberto Maurizio. L'articolo è inserito all'interno del "Dibattito Aperto" su "Moneta e Sviluppo". Oltre al Professore, parteciparono, tra gli altri, Mahbub Ul Haq, Paolo Leon, e Fabrizio Saccomanni.

Federico Caffè è Professore ordinario di Politica Economica e Finanziaria nella Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Roma.

Pareto ha scritto, in qualche parte, che esistono biblioteche intere di volumi dedicati alla moneta catti­va, ma che basterebbe qualche pa­gina per discutere in modo esau­riente sulla moneta buona. Indi­pendentemente dal valore che vo­glia attribuirsi a questa o ad analo­ghe frasi celebri (e non ritengo, per mio conto, che la frase riportata possa essere condivisa), ci trovia­mo in presenza di uno studioso che, con la potenza eccezionale del suo ingegno, è riuscito più di una volta a condensare in una pa­rola o in una formula i semi che hanno alimentato interi rami della letteratura economica. Ma, scen­dendo da simili altezze stratosferi-che di vigore intellettuale al livello ìnfimo in cui mi trovo, condensare in poco tempo il tema che mi è sta­to assegnato appare, a prima vi­sta, ben poco significativo. Poi, ri­flettendo che questa limitatezza di significatività rimarrebbe immuta­ta anche se disponessi di uno spa­zio ben più ampio e considerando soprattutto che negli anni ottanta già ci siamo, credo di poter indica­re, in modesta semplicità, il mio punto di vista sulle prospettive del sistema monetario internazionale. Credo che esso trovi i suoi incon­sapevoli nemici, da un lato, nei profeti del futuro, che inventano con monotona insistenza innume­revoli varianti di nuove monete o di panieri di monete; dall'altro, nei nostalgici del passato che, avendo utilizzato con profitto in una speci­fica circostanza la formula della «messa in comune delle riserve va­lutarie», la ripropongono in ogni occasione, con patetico convinci­mento.
Tra l'utopia e l'attaccamento al passato, si colloca ciò che è stori­camente possibile, nell'arco di tempo considerato. Viviamo in an­ni di profonda involuzione cultura­le, in cui atteggiamenti che veni­vano rimproverati a membri del mondo accademico di paesi del socialismo reale rivivono in incre­dibili affermazioni, come quelle dell'economista americano David A. Stockman, il quale ha rimprove­rato ai maggiori modelli econome­trici del suo paese di produrre pre­visioni «ciniche e distruttive». In questo clima da crociata, che è la negazione stessa della dialettica scientifica, penso che gli anni ot­tanta debbano essere dedicati al­la riflessione e all'autocritica, lasciando sedimentare le idee pri­ma di imbarcarsi in nuovi ambizio­si quanto fragili progetti. Su que­sta via dell'autocritica si è lodevolmente posta la Banca Mondia­le, con il completo abbandono del tradizionale concetto di incremen­to di reddito pro-capite su cui ba­sava i suoi prestiti, una volta ac­certato che esso si traduceva nell'accrescere il vantaggio della parte già privilegiata dei paesi sottosviluppati. Tetragono ad ogni spirito autocritico appare, in­vece, il Fondo Monetario Interna­zionale, che persiste nella illusio­ne di poter condizionare le altrui economie senza una effettiva co­noscenza dell'intreccio dei proble­mi economici e sociali che le contraddistingue. Senza una profon­da autocritica di questo atteggia­mento, che offende la scienza più di quanto mortifichi la consapevo­lezza critica dei cittadini dei paesi coinvolti, non vedo un utile futuro per l'attività del Fondo, nel quadro di un sistema monetario interna­zionale che unisca la capacità tecnica con il rispetto della civiltà e della indipendenza politica di ogni membro.
Per quanto il quadro degli anni im­mediatamente innanzi a noi sia fo­sco, non mancano segni di speran­za. Un imponente numero di eco­nomisti inglesi ha assunto una fer­ma posizione critica nei confronti del monetarismo. Un autorevole banchiere centrale, Karl Otto Pöhl, presidente della Deutsche Bunde­sbank, ha avuto occasione di affermare, di recente: «La nostra po­litica non mira a un dato insieme di tassi di interesse, considerati come economicamente desidera­bili, né si propone di difendere un particolare tasso di cambio. Persi­no la nostra politica di offerta del­la moneta costituisce uno stru­mento, un obiettivo intermedio, in quanto è legata all'impiego pieno del potenziale produttivo». Questo mi sembra il seme fecondo su cui si potrà cercare di ricostruire la trama di promettenti e stabili inte­se future. Purtroppo, questa lucida affermazione è offuscata dalla preoccupazione che lo stesso per­sonaggio manifesta per l'eccessi­va espansione della spesa pubbli­ca (nella Germania Occidentale!). Allorché questi residui della sag­gezza convenzionale si saranno dissolti e, nel pieno utilizzo del po­tenziale produttivo, si sarà trovato il fine al cui servizio porre lo stru­mento monetario, sul piano inter­nazionale come su quello interno, si sarà compiuto un passo decisi­vo per ricomporre un valido siste­ma monetario tra i vari paesi. Ma questo richiede che gli anni ottan­ta siano dominati dall'autocritica, più che da una vacua progettua­lità.

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