UN RICHIAMO AL REALISMO
di Federico Caffè
di Federico Caffè
Questo che segue è l'articolo pubblicato dalla rivista "Cooperazione" del Ministero degli Affari Esteri, sul numero 19, aprile 1981. L'intervento del Prof. Federico Caffè è all'interno del "Primo Piano" "Verso il Nuovo Ordine monetario internazionale", curato da Roberto Maurizio. L'articolo è inserito all'interno del "Dibattito Aperto" su "Moneta e Sviluppo". Oltre al Professore, parteciparono, tra gli altri, Mahbub Ul Haq, Paolo Leon, e Fabrizio Saccomanni.
Federico Caffè è Professore ordinario di Politica Economica e Finanziaria nella Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Roma.Pareto ha scritto, in qualche parte, che esistono biblioteche intere di volumi dedicati alla moneta cattiva, ma che basterebbe qualche pagina per discutere in modo esauriente sulla moneta buona. Indipendentemente dal valore che voglia attribuirsi a questa o ad analoghe frasi celebri (e non ritengo, per mio conto, che la frase riportata possa essere condivisa), ci troviamo in presenza di uno studioso che, con la potenza eccezionale del suo ingegno, è riuscito più di una volta a condensare in una parola o in una formula i semi che hanno alimentato interi rami della letteratura economica. Ma, scendendo da simili altezze stratosferi-che di vigore intellettuale al livello ìnfimo in cui mi trovo, condensare in poco tempo il tema che mi è stato assegnato appare, a prima vista, ben poco significativo. Poi, riflettendo che questa limitatezza di significatività rimarrebbe immutata anche se disponessi di uno spazio ben più ampio e considerando soprattutto che negli anni ottanta già ci siamo, credo di poter indicare, in modesta semplicità, il mio punto di vista sulle prospettive del sistema monetario internazionale. Credo che esso trovi i suoi inconsapevoli nemici, da un lato, nei profeti del futuro, che inventano con monotona insistenza innumerevoli varianti di nuove monete o di panieri di monete; dall'altro, nei nostalgici del passato che, avendo utilizzato con profitto in una specifica circostanza la formula della «messa in comune delle riserve valutarie», la ripropongono in ogni occasione, con patetico convincimento.
Tra l'utopia e l'attaccamento al passato, si colloca ciò che è storicamente possibile, nell'arco di tempo considerato. Viviamo in anni di profonda involuzione culturale, in cui atteggiamenti che venivano rimproverati a membri del mondo accademico di paesi del socialismo reale rivivono in incredibili affermazioni, come quelle dell'economista americano David A. Stockman, il quale ha rimproverato ai maggiori modelli econometrici del suo paese di produrre previsioni «ciniche e distruttive». In questo clima da crociata, che è la negazione stessa della dialettica scientifica, penso che gli anni ottanta debbano essere dedicati alla riflessione e all'autocritica, lasciando sedimentare le idee prima di imbarcarsi in nuovi ambiziosi quanto fragili progetti. Su questa via dell'autocritica si è lodevolmente posta la Banca Mondiale, con il completo abbandono del tradizionale concetto di incremento di reddito pro-capite su cui basava i suoi prestiti, una volta accertato che esso si traduceva nell'accrescere il vantaggio della parte già privilegiata dei paesi sottosviluppati. Tetragono ad ogni spirito autocritico appare, invece, il Fondo Monetario Internazionale, che persiste nella illusione di poter condizionare le altrui economie senza una effettiva conoscenza dell'intreccio dei problemi economici e sociali che le contraddistingue. Senza una profonda autocritica di questo atteggiamento, che offende la scienza più di quanto mortifichi la consapevolezza critica dei cittadini dei paesi coinvolti, non vedo un utile futuro per l'attività del Fondo, nel quadro di un sistema monetario internazionale che unisca la capacità tecnica con il rispetto della civiltà e della indipendenza politica di ogni membro.
Per quanto il quadro degli anni immediatamente innanzi a noi sia fosco, non mancano segni di speranza. Un imponente numero di economisti inglesi ha assunto una ferma posizione critica nei confronti del monetarismo. Un autorevole banchiere centrale, Karl Otto Pöhl, presidente della Deutsche Bundesbank, ha avuto occasione di affermare, di recente: «La nostra politica non mira a un dato insieme di tassi di interesse, considerati come economicamente desiderabili, né si propone di difendere un particolare tasso di cambio. Persino la nostra politica di offerta della moneta costituisce uno strumento, un obiettivo intermedio, in quanto è legata all'impiego pieno del potenziale produttivo». Questo mi sembra il seme fecondo su cui si potrà cercare di ricostruire la trama di promettenti e stabili intese future. Purtroppo, questa lucida affermazione è offuscata dalla preoccupazione che lo stesso personaggio manifesta per l'eccessiva espansione della spesa pubblica (nella Germania Occidentale!). Allorché questi residui della saggezza convenzionale si saranno dissolti e, nel pieno utilizzo del potenziale produttivo, si sarà trovato il fine al cui servizio porre lo strumento monetario, sul piano internazionale come su quello interno, si sarà compiuto un passo decisivo per ricomporre un valido sistema monetario tra i vari paesi. Ma questo richiede che gli anni ottanta siano dominati dall'autocritica, più che da una vacua progettualità.
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