DUEMILACINQUECENTO ANNI DOPO LA SECESSIONE DELLA PLEBE AL MONTE SACRO
Dal SITO: http://www.dirittoestoria.it/
Per rendere più agevole la comprensione del seminario di studi, riportato sul sito http://www.robertomaurizio1947.blogspot.com/, presentiano la relazione introduttiva del Prof. Pierangelo Catalano e Giovanni Lobrano, nel 2005 in occasione di un altro simposio sempre sul tema dell'anninersario della secessione della plebe al Monte Sacro. Dal 294 a.C. ad oggi sono passati 2.501 anni. Lo stesso luogo venne scelto da Simòn Bolivar per la pronuncia del suo "giuramento". “Per il Dio dei miei genitori, giuro per loro; giuro per il mio onore e giuro per la patria, che non darò pace al mio braccio, né riposo alla mia anima, finchè non avrò spezzato le catene che ci opprimono!”. Fino a poco tempo fa, si pensava che il giuramento del giovane Bolivar fosse avvenuto sull'Aventino. Oggi, è stato confermato con certezza che è stato proprio il luogo dove oggi sorge il più grande quartiere di Roma ad essere testimone della promessa di Simòn che sarà poi mantenuta.
MMD Anniversario della Secessione della Plebe al Monte Sacro
Promemoria
a cura di
Pierangelo Catalano e Giovanni Lobrano
Quali accidenti facessono creare in Roma i tribuni della
plebe, il che fece la republica più perfetta ... E però, dopo
molte confusioni, romori e pericoli di scandoli che
nacquero intra la plebe e la nobiltà, si venne, per sicurtà
della plebe alla creazione de’ tribuni; e quelli ordinarono
con tante preminenzie e tanta riputazione, che poterono
essere sempre dipoi mezzi intra la Plebe e il Senato,
e ovviare alla insolenzia de’ nobili.
Che la disunione della plebe e del senato romano fece
libera e potente quella republica ... E se i tumulti furono
cagione della creazione de’ tribuni meritano somma laude;
perché oltre al dare la parte sua all’amministrazione
popolare, furono constituiti per guardia della libertà
romana.
Niccolò Machiavelli
Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, libro I, c. 3-4
I
La secessione e le sue ragioni. Il giuramento e la tribunicia potestas sacrosanta
1. – Secessione
Duemilacinquecento anni or sono, nell’anno 494 avanti Cristo, la plebe romana in armi, guidata da Sicinio, secede sul Monte Sacro a causa dell’acuirsi del conflitto che la oppone al ceto dominante dei patrizi in ogni campo della convivenza civile e, in particolare, nella questione del debito, la quale vede i debitori plebei oppressi in maniera intollerabile dagli usurai (foeneratores).
2. – Giuramento plebeo
Nell’anno seguente la plebe romana rientrerà a Roma, convinta da Menenio Agrippa della necessità della collaborazione tra i diversi ceti sociali, ma soltanto dopo avere creato una magistratura nuova, un “magistrato plebeo”, dotato di una protezione nuova (la sacratio capitis di chiunque lo offenda) e di un potere altrettanto nuovo: per la sua configurazione generale (la potestas sacrosancta), per il suo fondamento (il iusiurandum collettivo plebeo, integrato – quindi – con un foedus patrizio-plebeo), per il suo contenuto (lo ius intercessionis contro le magistrature patrizie / di governo e lo ius agendi cum plebe).
E’ il tribunato della plebe.
3. – Caio Sicinio Belluto
«il più strenuo avversario dell’aristocrazia… di infima nascita, educato poveramente» così lo descrive Dionigi di Alicarnasso (VII, 33). Caio Sicinio Belluto fu il capo della secessione. Le fonti antiche presentano un uomo che emergeva dalla massa; egli affrontò con forza i patrizi: «Con quale animo, patrizi, ora richiamate indietro coloro che avete condotto fuori dalla patria e trasformato da liberi in schiavi?» (Dionigi, VI.45). Con lo stesso animo, tre anni dopo contrastò Coriolano, che voleva privare la plebe della magistratura appena istituita (Plutarco, Coriolano, XVIII.1-3). Sicinio fece parte del primo tribunato della plebe («primus tribunus plebis … in Sacro monte»: Livio 3.54.12) e fu rieletto due volte per il grande prestigio personale e non per meriti familiari. Il suo ruolo nella storia della repubblica romana è paragonabile a quello del primo console: ponendo argine alla prepotenza dei patrizi e degli usurai, il tribunato rese perfetta la costituzione repubblicana (secondo l’opinione che manifesteranno poi, tra gli altri, Cicerone, Machiavelli, Rousseau, Gracchus Babeuf). A ragione Simon Bolívar ricorderà Sicinio (v. infra, III, 3).
4. – Tribunato della plebe e libertà del popolo
Sembra quasi impossibile che un gruppo sociale “in sedizione” abbia prodotto ‘di getto’ una tale costruzione religiosa, politica, giuridica; al contempo così innovativa, complessa e poderosa: una magistratura contro-magistratura (dotata di un potere contro-potere) la quale diviene il perno di una costruzione unica nella storia, la respublica del popolo romano. La respublica è caratterizzata dal potere ‘laico’ e ‘sovrano’ del popolo, cioè degli universi cives, il quale entra in relazione di comando-obbedienza con sé medesimo (populus in sua potestate) attraverso il potere di governo dei magistrati patrizi, i quali – a loro volta – traducono (con un margine necessario di discrezionalità) gli iussa generalia “di tutto il popolo a tutto il popolo” (Rousseau) in comandi specifici rivolti ai singoli. Questa relazione vitale, centrale, bi-univoca tra popolo dei cittadini e magistrati patrizi, nella quale ciascun cittadino deve sapere e potere – a tempo debito – comandare e obbedire, si avvale di un meccanismo di cui sono parte i sacerdotes publici; ma essa è soprattutto garantita dal tribunato della plebe. La sacrosancta potestas dei tribuni plebis è garante della libertà dei singoli cives dinnanzi al potere di governo dei magistrati patrizi e, al contempo e indissolubilmente, è garante della obbedienza dei magistrati patrizi alla volontà del popolo (leges publicae).
II
Il Tribunato della plebe e la respublica: da Cicerone a Eutropio
1. – Cicerone
Questa nuova istituzione va ad occupare uno spazio straordinario nel sistema giuridico repubblicano romano antico, dove (salvo il biennio ‘sperimentale’ del decemvirato legislativo) sarà sempre presente.
Cicerone (autore del più famoso e più autorevole trattato sulla respublica, che scrive nella urgenza della grande crisi della repubblica, provocata dal repentino e massivo ingresso delle civitates foederatae italiche) sostiene che senza tribunato non c’è repubblica: «nomen tantum videbitur regis repudiatum, res manebit, si unus omnibus reliquis magistratibus imperabit. Quare nec ephori Lacedaemone sine causa a Theopompo oppositi regibus, nec apud nos consulibus tribuni» (De legibus, 3.15 s.).
2. – Augusto
Augusto, il quale risolve la crisi della repubblica riprendendo la riflessione ciceroniana, edifica l’istituto del ‘principe’ su due pilastri repubblicani: uno è l’imperium proconsulare (maius et infinitum) e l’altro è la tribunicia potestas sacrosancta.
3. – Difesa imperiale delle plebi cittadine
L’“Impero delle città” (si ricordi Elio Aristide, “Elogio di Roma”) ri-connette il potere tribunizio alla struttura cittadina. Nel IV secolo dopo Cristo, gli imperatori Valentiniano I e Valente, con una sorta di ritorno alle origini, istituiscono i defensores civitatis: «ut plebs [...] contra potentium defendatur iniurias»: costituzione dell’anno 365, la prima del titolo 55 (dedicato ai Defensores civitatis) del libro I del Codex di Giustiniano. Ma sono testimoniati istituti che anche prima del 365 esplicano la defensio civitatis della legislazione imperiale, freno allo strapotere della classe senatoria: sono i syndici, dei quali ultimi resta più evidente la traccia semantica nel governo delle città italiane.
Sul ruolo del modello tribunizio per la difesa imperiale delle plebi cittadine, è significativo quanto scrive lo storico Eutropio, collaboratore (epistolografo) dell’imperatore Valente: «Tum et ipse [il popolo romano] sibi tribunos plebis quasi proprios iudices et defensores creavit per quos contra senatum et consules tutus esse posset» (Breviarium ab urbe condita 1.13; cfr. Digesta Iustiniani, 1.2.2.20).
III
Continuità tribunizia: da Cola di Rienzo a Gracchus Babeuf alla Repubblica Romana del ’49
1. – Medioevo
La funzione tribunizia dei difensori della cittadinanza resta lungo tutto il medioevo, affidata ai syndici dei Comuni ma anche – e in misura rilevante – ai vescovi. Nel XIV secolo, in Roma, Cola di Rienzo fu Tribuno (1347: «libertatis, pacis iustitiaeque tribunus et sacrae romanae reipublicae liberator») e propose la unificazione dell’Italia in termini di confederazione di Comuni. Nella città di Bologna, nel 1377, furono istituiti i “Tribuni della plebe”.
2. – Età moderna
Con la crisi che segna l’evo moderno, l’istituzione tribunizia torna fortemente nella riflessione e proposizione politica/giuspubblicistica, come dimostrano i contributi di Niccolò Machiavelli, di Jean Calvin (e di altri Riformatori), di Juan de Mariana (e di altri Monarcomachi), di Johannes Althusius syndicus della Città di Emden (e dell’altro grande teorico dello ‘Stato’ moderno, François Hotman).
L’istituzione tribunizia diventa centrale nella riflessione costituzionale del Settecento, come dimostrano, costruendo il binomio “sovranità popolare” e “potere negativo”, i grandi filosofi del diritto Jean-Jacques Rousseau e Johann Gottlieb Fichte (ma persino il barone di Montesquieu).
Nel contesto della Rivoluzione francese si sviluppa la prima riflessione sullo sciopero generale, implicitamente connessa, nel pensiero di Gracchus Babeuf, con le antiche secessioni della plebe: ricordiamo il «Manifeste des plébéiens» su Le Tribun du peuple, n. 35, 9 frimaio, anno IV (30 novembre 1795) «Que le Mont Sacré ou la Vendée plébéienne se forme sur un seul point ou dans chacun des 86 départements».
3. – Età contemporanea
Il riferimento al tribunato resta essenziale in alcuni tentativi ottocenteschi di costruzione delle repubbliche.
In America: sopra tutti Simόn Bolίvar, che inaugura il proprio impegno politico precisamente con il giuramento sul Monte Sacro nel 1805, e stabilisce un tribunato nella Costituzione di Bolivia del 1826 (ma si può ricordare anche lo statista nord-americano John Caldwell Calhoun).
In Europa: soprattutto il Progetto di Costituzione della Repubblica Romana del 1849 redatto dal mazziniano Cesare Agostini e le discussioni a quella Assemblea Costituente. Si possono ricordare anche le dottrine di Giandomenico Romagnosi e di Pietro Ellero.
IV
La cancellazione della memoria.
Difensori civici, diritti umani e sovranità popolare
1. – Hegel e Mommsen
L’Ottocento è però il momento di trionfo dello Stato borghese e ora il tribunato plebeo manifesta la propria rilevanza a contrario. La instaurazione dello Stato borghese, che si sostituisce al popolo, richiede necessariamente e previamente la cancellazione del tribunato plebeo. G. W. F. Hegel e Th. Mommsen, i due edificatori teorici di tale Stato, si fanno carico di tale cancellazione sul piano scientifico, costruendo una storia e un sistema del diritto senza il potere del tribunato della plebe.
2. – Sindacati e “defensores del pueblo”
Il potere tribunizio, escluso dalla architettura costituzionale teorica e positiva del Novecento e, quindi, anche cancellato dalla memoria storica e dalla capacità di elaborazione de iure condendo di questo secolo, si ripropone –in certo modo– spontaneamente attraverso altre due istituzioni, le quali acquisiscono entrambe dimensioni e importanza straordinarie: il sindacato dei lavoratori e il “defensor del pueblo” (“ombudsman”, “médiateur”, difensore civico). Per entrambe le istituzioni si continua a scoprire i nessi con l’antico tribunato plebeo (si vedano, per il sindacato, gli scritti di Daniel De Leon e di Giuseppe Grosso).
3. – Presa di coscienza del “potere negativo”
Ci si rende conto oggi delle potenzialità connesse all’approfondimento scientifico di tale nesso, attraverso il concetto di “potere negativo” (P. Catalano; M. Castelli; G. La Pira). La “crisi dello Stato” odierna (con la richiesta di ‘costituzioni’ e la fame di ‘costituzionalismo’ connesse) accelera i tempi di una presa di coscienza.
La riflessione, in questo Seminario dell’Aventino, sulla secessione plebea iniziata nel 494 a.C. al Monte Sacro e conclusasi con il giuramento costitutivo del Tribunato della plebe, prima che celebrazione di 2500 anni della nostra storia e delle nostre istituzioni, vuole essere occasione specifica di questa presa di coscienza.
P.C. - G.L.
Bibliografia
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A.M. Battista, «Il Poder Moral: la creazione irrisolta e sconfitta di Bolívar», Il pensiero politico, 20, Firenze 1987 (trad. española en Bolívar y Europa cit., 727 ss.);
S. Schipani, «Defensa jurisdiccional de los derechos humanos y “poder negativo”», en Constitucionalismo latino y liberalismo, Universidad Externado de Colombia, Bogotá 1990, 15 ss.
Il “Potere Morale” tra politica e diritto. L’esempio di Simón Bolívar, Consiglio Nazionale delle Ricerche. Aa.Vv., Progetto Italia - America Latina. Ricerche Giuridiche e Politiche. Materiali, X, Sassari 1993 (include scritti di Rafael Caldera).
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